La mia ipersensibilità ai campi magnetici
Ho scoperto di essere ipersensibile ai campi magnetici verso i 40 anni, prima sapevo di “avere qualcosa” ma ne ero spaventato, non capivo quel mio stato e lo rifiutavo. Quando da bambino mi resi conto che gli altri non sentivano né percepivano quello che invece sentivo io, e che i miei genitori si preoccupavano molto pensando che io non fossi normale, cercai di “non sentire più niente” e di non parlarne più a nessuno.
Essere magnetosensibili è una condizione umana difficile: può essere “una marcia in più” come dice Rolf Sellin (“Le persone ipersensibili hanno una marcia in più”, Feltrinelli 2013), ma anche un grosso problema.
In pratica si tratta di una dotazione genetica di ipersensibilità ai campi magnetici.
È una predisposizione che nella vita può svilupparsi e ampliarsi oppure essere “soffocata” e ridursi. Si è fissata per l’importanza che aveva per la sopravvivenza nei primi gruppi umani erranti il fatto che ci fosse qualche individuo in grado di sentire la presenza di un predatore nascosto o di percepire la presenza di acqua ad una certa distanza.
Al contrario dell’elettrosensibilità (ipersensibilità ai campi elettrici), con l’intossicazione dell’organismo la sensibilità ai campi magnetici ed elettromagnetici diminuisce e si potrebbe pensare che questa sia la causa dell’abuso di alcol o di sostanze stupefacenti da parte di persone ipersensibili, anche ricche e famose.
Io soffrivo di una forte rinite allergica e mi stordivo di antistaminici, così non ho mai avuto interesse per altre sostanze, mi bastavano quelli per ridurla.
Campi magnetici ed elettromagnetici
I campi magnetici ed elettromagnetici sono parte integrante della natura e della vita, e negli ultimi decenni anche della tecnologia umana. Si formano quando la corrente elettrica va ad alimentare un utilizzatore, ad esempio quando un cavo elettrico è collegato alla spina e la corrente va ad una lampadina: se il cavo è collegato ma la lampadina è spenta non c’è campo magnetico ma solo campo elettrico, se si accende la lampadina il cavo emette anche il campo magnetico.
Nelle trasmissioni elettromagnetiche senza cavi, invece, campo elettrico e campo magnetico non sono separabili, ma è preponderante quello elettrico.
Per questo motivo gli elettrosensibili non possono stare dove ci sono emittenti radiotelevisive o di telefonia mentre i magnetosensibili possono farcela, seppure con qualche disagio per la parte magnetica del campo.
Se si parla di campi emessi dai viventi, o biocampi, si vede che finché l’organismo è vivo è “acceso” ed emette i tre tipi di campo conosciuti, elettrico, magnetico ed elettromagnetico in varie frequenze; quando l’organismo muore, si è “spento”, e restano solo i campi elettromagnetici dovuti all’oscillazione delle molecole come in qualsiasi altro materiale.
Ci sono molte forme di magnetismo: da quello conosciuto da tutti delle calamite al geomagnetismo del pianeta, al biomagnetismo proprio dei viventi.
Alcuni campi magnetici come quello terrestre sono “statici” cioè non hanno oscillazioni nell’unità di tempo, altri invece sono “alternati”, hanno un certo numero di oscillazioni per unità di tempo e se ne può misurare la lunghezza d’onda cioè la distanza tra le due “creste” dell’oscillazione. La caratteristica più interessante però dei campi magnetici è quella di trasportare informazioni. Molti magnetosensibili sono anche in grado di “decodificare” le informazioni di alcuni tipi di campi magnetici, il che non significa che vedano i programmi TV nel proprio cervello (per fortuna!), ma che se riescono ad andare in risonanza con un campo elettromagnetico presente in un materiale o in un luogo, riescono a trasformare le informazioni in “visualizzazioni”, cioè in immagini che si formano nella corteccia visiva e in altre parti del cervello, non negli occhi, quindi gli altri “non vedono niente” e danno loro regolarmente dei matti.
Il magnetismo nel mondo animale
Non solo nei pesci e negli uccelli, ma anche nei mammiferi ci sono delle cellule specializzate che contengono magnetite e fanno da “sensori” del campo magnetico per permettere l’orientamento e il “ritorno” a un luogo di partenza anche molto lontano. Alcuni studi scientifici lo hanno confermato nei ratti e nei conigli, negli umani ancora no, ma si sa da prove certe che alcuni di noi sono in grado di determinare il nord magnetico anche in condizioni di oscuramento sensoriale (succede anche a me), quindi ci devono essere per forza. Per la mia percezione queste cellule sono concentrate in alcune zone del corpo e si trovano nelle caviglie, nelle ginocchia, nelle spalle, nei gomiti, nei polsi, dentro le orecchie e sulla fronte nelle arcate sopraccigliari. La mia gatta le ha negli stessi posti, e in più anche sul naso.
Cosa vuol dire “per la mia percezione”?
Semplicemente che mettendo una mano o un dito sulle varie parti del corpo mi accorgo quando incontro delle zone contenenti magnetite poiché sono dei recettori, è vero, ma anche degli emettitori di campo magnetico.
“Semplicemente” è davvero una parola strana in questo caso. Bisognerebbe provare a raccontarlo agli scienziati che studiano queste cose per vedere quanto è “semplice” per loro da accettare. Ma per me e per gli altri magnetosensibili consapevoli è così: queste sono cose semplici, altre sono ben più problematiche!
Ad esempio la percezione di informazioni che si ha anche senza contatto con le persone, solo per il contatto del proprio biocampo con quello altrui, e che per me significa ad esempio che quando sono seduto in un treno freccia con i sedili così stretti di lato e davanti, se non chiudo bene le “porte della percezione” sento le cose più forti che hanno quelli che ho vicino: se sono in ansia, se sono pieni di rabbia, se sono ammalati. Soprattutto quest’ultima variabile per me è un grosso problema poiché a seconda del tipo di patologia, se è grave, mi si congela o mi si infiamma la parte del corpo che ho vicina alla persona che mi siede in fianco, e non mi è facile restare seduto al mio posto.
Credo però che la situazione peggiore che vive un magnetosensibile sia la diagnostica con la Risonanza Magnetica che usa un campo statico, quindi più sopportabile, ma di intensità elevatissima. Le poche volte che ho dovuto sottopormi a questa analisi per un’ernia al disco sono uscito dal “sarcofago” in stato confusionale: non ricordavo dov’era lo spogliatoio con i vestiti, né una volta vestito e uscito (seguendo le indicazioni) ricordavo più dove avevo l’auto che presumevo di aver parcheggiato da qualche parte, né in che direzione dovevo andare per tornare a casa. Ci vuole almeno un quarto d’ora perché io cominci a riorientarmi un po’ e ne risento per tutta la giornata. La sensazione di avere la memoria “sbiancata” è sgradevolissima, mi vergogno a dirlo agli infermieri e cerco di far finta di niente ma mi sento davvero in balia di qualsiasi cosa, per cui appena vedo una sedia mi metto ad aspettare cercando di far affiorare le memorie. Per fortuna quelle profonde legate alla mia identità non si alterano.
So che succede più o meno così anche ad altri come me che conosco, ma vallo a spiegare a medici e infermieri! L’ultima volta, quando ho chiesto dov’era lo spogliatoio mi hanno risposto tra l’incredulo e l’ironico: era la porta proprio davanti a me. Ci mancava poco che mi trasferissero direttamente al reparto “neuro”.
Poi ci sono le informazioni che restano nei muri e nei mobili per effetto dell’acqua che contengono o dell’acqua microcristallina: spesso non sono affatto gradevoli e rendono davvero molto problematico, per me e per tutti i magnetosensibili che fanno anche da “trasduttori”, restare in certi posti e in certe case.
Possono esserci però anche situazioni interessanti come quelle che ho sperimentato in Sardegna nei nuraghe e nei pozzi sacri, nelle quali arrivano immagini che si sono fissate nei materiali per l’utilizzo del sito ripetuto per secoli da molte persone. Queste immagini, assieme ad un po’ di cultura storica, permettono di capire meglio cosa avveniva in monumenti o siti archeologici che per la distanza nel tempo e la mancanza di resoconti scritti sono poco compresi o completamente fraintesi, come i nuraghe, appunto, scambiati per fortezze quando molto più probabilmente sono templi di un culto femminile e di rinascita che nulla aveva a che vedere con la guerra.
La sensibilità non è di tutti allo stesso modo, va da quasi niente a moltissima a seconda delle persone. In un periodo storico in cui prevalgono le persone che la hanno tendente a zero, i pochi più sensibili sono considerati spesso privi di senno, quindi tutte queste esperienze non sono utilizzabili per il progredire della conoscenza, anzi è un rischio scriverne e discuterne perché si viene subito trattati da ciarlatani da chi invece se ne occupa in modo “scientifico”.
L’elettrosensibilità e la sensibilità chimica multipla sono invalidanti e hanno già trovato il riconoscimento come patologie in alcuni Paesi europei. La magnetosensibilità è “diversamente invalidante” perché colpisce più all’interno, nel profondo della persona, minandone le basi di equilibrio e di autostima, provocando stati di forte malessere psicologico ma non stabili nel tempo (per fortuna altrimenti la strada è quella della schizofrenia). Una situazione che difficilmente potrà trovare qualche forma di riconoscimento in ambito medico, ma che può trovare aiuto e comprensione in ambito psicoterapeutico presso alcuni illuminati psicologi, che forse ne soffrono anche loro.
In genere un magnetosensibile è ipersensibile a un livello molto elevato, a volte estremo, per cui rientra nella categoria di “persona ipersensibile” formulata dallo psicoterapeuta Rolf Sellin che ha fondato a Stoccarda un istituto per insegnare a gestire al meglio l’ipersensibilità. Leggendo il suo libro (già citato all’inizio) mi ci sono ritrovato ma per me tutte le situazioni descritte sarebbero da moltiplicare almeno per cento, e per qualcuno che conosco forse per centomila.
Comunque è molto importante che si ponga in positivo il valore personale, la “marcia in più”, e sociale della ipersensibilità: gli ipersensibili lo sono anche ai soprusi e alle ingiustizie e questo quasi sempre li fa agire per rendere migliore il mondo.
Quello che da ipersensibili bisogna fare è acquisire la consapevolezza, allora si ha a disposizione una grande ricchezza interiore.
Una frase del libro di Sellin mi ha colpito particolarmente e mi sembra una buona considerazione finale: “esistono combinazioni molto diverse di ipersensibilità, ognuna con caratteristiche proprie, come avviene per qualsiasi talento”.