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L’ULTIMO SALUTO DELLA GATTA GIOGGI, racconto breve inedito

L’ULTIMO SALUTO DELLA GATTA GIOGGI, racconto breve inedito

Gianni e Lea con la gatta Gioggi erano andati ad abitare alle ultime propaggini della città, su in collina. Quando stavano via il fine settimana lasciavano socchiusa la finestra del bagno, che aveva le sbarre poiché dava sulla terrazza, in modo che la gatta potesse uscire e rientrare. Da lì raggiungeva facilmente la collina traversando una stradina vicinale non asfaltata. Nella zona passavano solo le poche auto dei residenti e pensavano di stare abbastanza tranquilli riguardo alla sua incolumità.Via Pescetti 1965 ok
Era andata bene per un bel po’ di tempo, anche con l’aiuto dell’amica Rosy che passava a dare i croccantini alla gatta se stavano via di più, come durante le vacanze estive. Ma una domenica sera di un grigio inizio di novembre non trovando Gioggi in casa al rientro Gianni commise l’errore di chiamarla. Probabilmente sentendolo si era precipitata traversando a razzo la stradina posta dietro l’edificio a dividerlo dal versante della collina. Non vedendola rientrare per la notte gli prese l’angoscia. Lea disse di non preoccuparsi, invece lui percepiva che c’era motivo per il suo stato d’animo e non riuscì a dormire. Il giorno dopo vedendo che ancora non c’era quando tornò dal lavoro si sentì quasi male e si sdraiò sul divano per riprendersi. Tenendo gli occhi chiusi sullo schermo della mente gli venne l’immagine del corpicino riverso al lato della stradina vicinale. Era una strada stretta e le auto non potevano correre, più facilmente era passata una moto. In un minuto Gianni era già fuori.
Percorrendo la stradina arrivò all’altezza del retro del caseggiato e la vide. Dovette farsi animo per non star male di nuovo perché vedeva la traccia di un copertone sulla sua schiena. Lì vicino c’era il buco nella rete che le permetteva di passare per arrivare a casa. Tornò indietro di corsa a prendere uno straccio pulito per portarla via e per impedire alla disperazione di paralizzarlo. Mentre camminava veloce rifletteva sullo scotto che aveva pagato pur di lasciarle la libertà di uscire, ma non avrebbe mai sopportato di tenere un gatto prigioniero in casa.
L’ingresso ai garage del piccolo condominio era ancora sterrato e a lato del muro esterno del caseggiato aveva le sue radici una vite americana che saliva a ombreggiare la terrazza. Gli venne l’idea di seppellire Gioggi alla base della pianta, ma l’emozione era troppo forte, non ce la faceva e si mise a piangere rifugiandosi in garage insieme al corpicino della gatta. Quando i singulti si calmarono decise di aspettare il ritorno di Lea per farsi sostenere a eseguire una specie di rituale d’addio, se non proprio il funerale con la cornamusa che inscenano i ragazzini quando credono che Tomasina sia morta, nel bel film che aveva accompagnato l’incontro con la sua prima gatta Tommy.
Vedendolo in quello stato, Lea si preoccupò e nel cerare di spiegarle cos’era successo gli vennero di nuovo i singhiozzi. Subito Lea non capì, credeva che qualcuno gli avesse riferito dov’era la gatta, stentava a rendersi conto che era stata la percezione sensitiva a fargli trovare il corpicino. Era fatto così, quando gli eventi lo travolgevano, la sensitività, pur sopita, si risvegliava.
Lea lo tenne stretto fino a che smise di singhiozzare e riuscì a dirle
«Adesso andiamo, devo scavare».
Lea scese con lui in garage, vide il corpicino privo di vita e si mise a piangere a sua volta. Da quando l’aveva aiutata a partorire, Gioggi era divenuta un affetto profondo anche per lei.
Scavando a fatica con il badile la piccola fossa Gianni le confessò:
«Dopo Tommy, Gioggi è la seconda gatta che mi ha salvato dal congelamento affettivo. Se non c’era lei non so come avrei fatto nei periodi peggiori dopo la separazione da Annalisa.»
«Però anche lei voleva bene alla gatta, lo sai. Le era dispiaciuto così tanto doverla lasciare.»
«Sì, è vero… vedrò come fare a dirglielo… comunque era meno coinvolta, a me succede come ai bambini piccoli con gli orsacchiotti, carico di affetto le gatte più di quel che è concepibile… sarà che non ho mai avuto un orsacchiotto da piccolo».
Lea lo guardò incredula asciugandosi il viso:
«Ma come, neanche un pupazzetto? È importante, è l’oggetto transizionale che fornisce conforto quando non c’è il contatto con la mamma. Si vede che con le gatte il tuo bambino interiore si rassicura, soprattutto se a suo tempo quello reale non ha avuto abbastanza amore materno».
Era pur sempre una psicologa.
«A me sembra di amare le mie gatte come fossero persone, ci parlo, mi confido, sento il calore che mi danno. Provano sentimenti, fanno scelte e si ricordano tutto… No, da piccolo non ho avuto nessun pupazzetto, niente, neanche la copertina di Linus, finché era arrivata Tommy, ma avevo già dieci anni».
Prese il sacchetto di iuta con infilato dentro il corpo di Gioggi e lo adagiò con delicatezza, quasi facesse attenzione a non svegliarla, nella buca scavata con il vecchio badile dimenticato dai muratori; l’aveva fatta abbastanza fonda perché un domani la sepoltura non venisse accidentalmente profanata. Poi ricoprì tutto con la terra. Aveva dei mattoni e li usò per delimitare una piccola aiola a proteggere il luogo poi chiese a Lea di andare a comprare un mazzetto di fiori recisi prima che chiudessero. Salutarono Gioggi ringraziandola di quanto aveva fatto per loro nella sua breve vita.
Mentre aspettava, Gianni dovette riposare sul divano, non era abituato a usare il badile. Quasi subito però gli venne il pelo d’oca ed ebbe l’impulso di andare a vedere la sepoltura dalla finestra, come volesse controllare che fosse tutto a posto. Nel crepuscolo, guardando giù dov’era sepolta Gioggi vide un’ombra traslucida a forma di gatto che si leccava. Percependolo guardò verso di lui con la tenerezza consueta e poi sparì. Aveva fatto appena in tempo a dirle «Addio mia piccola amica».Gioggi 1989
Non sapeva se raccontare o meno a Lea questa cosa; non voleva che si preoccupasse delle sue percezioni o che pensasse che era attratto dalle presenze dei morti. Alla fine glielo disse, fingendo di non essere troppo sicuro di quel che aveva visto, e lei lo stupì, corse alla finestra a guardare, ma non c’era più nessuna ombra:
«Si vede che ha voluto ringraziarti di averle dato sepoltura. Così è andata in pace».
E piena di tristezza scese a mettere i fiori.
Guardando Lea adornare la sepoltura, Gianni ripensava alla sua gattina: “Grazie Gioggi, come mi hai voluto bene tu poche persone l’hanno saputo fare. Con te ho perso un affetto tenero e forte, mi mancherà la tua gioia di vivere, la tua bellezza selvaggia, la tua pazzia. Addio piccola cara strana amica mia”.