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LE SILENTI URLA DEL VERDE

LE SILENTI URLA DEL VERDE

Questo articolo rispecchia abbastanza bene il mio pensiero – sebbene ultimamente a vedere le cose così si è decisamente troppo ottimisti – e per dimostrare come negli anni novanta queste conoscenze fossero emerse fino al livello della divulgazione popolare e quindi è veramente impossibile ora dire “non lo sapevamo”. Dobbiamo dire “ce ne siamo fregati, perché eravamo ciechi e rincoglioniti”.
La responsabilità del precipizio attuale, per cui la crisi degli ecosistemi con le sue conseguenze fatali, probabilmente accadrà anche prima del raddoppio della CO2, è nostra, di tutti quelli che hanno continuato a foderarsi gli occhi con ideologie obsolete e inadeguate senza dar ascolto ai problemi ambientali, e soprattutto di quelli che da veri complici dei criminali hanno accettato le idee del neoliberismo senza capire che sono la teorizzazione del suicidio della nostra civiltà e forse anche della nostra specie (ricordo bene ormai molti anni fa un Bersani presidente del suo partito che a “Che tempo che fa” a una domanda sull’economia conclude la risposta affermando: “del resto questo è il sistema, non ci sono mica alternative”).
Il tutto per far arricchire ulteriormente una ristrettissima fascia di già ricchissimi consegnando loro così, oltre alla quasi totalità delle risorse economiche, anche il potere di vita o di morte sulla nostra specie e sulle altre numerose specie che ci trascineremo dietro nel nostro crollo in una variante finale di “muoia Sansone con tutti i Filistei”.
E loro, forse illudendosi – nella loro pazzia criminale – di poter andare a vivere su un altro pianeta, hanno scelto la morte.

(cito l’articolo di Giorgio Petrucci) “L’aggravarsi dello stato di salute del pianeta è stato denunciato a più riprese, in questi anni, da un fronte TermografiaPianetaTerracrescente di osservatori. All’umanità spensierata e dissipatrice, poco propensa a un’inversione di rotta, fa da contraltare la silenziosa e disperata lotta del regno vegetale per sopravvivere all’inquinamento.
Che il problema ambientale continui a essere sentito e attuale, nonostante i tentativi dei mass-media di proporlo come argomento usa e getta, è un dato su cui meditare.
La questione, infatti, non si può esaurire nella semplice presa d’atto dei mali del mondo poiché essi si ripropongono costantemente nella nostra vita quotidiana: in mazzo al traffico, nei pressi di un cassonetto dei rifiuti, vicino agli scarichi industriali o quando l’incremento delle malattie respiratorie e oncogene colpisce un conoscente.
Proprio l’immanenza del problema lo rende difficile da archiviare. Occultamenti, rassicurazioni e seppellimenti nelle paludi politiche e burocratiche sono solo pretestuose operazioni tranquillizzanti che l’evidenza dei fatti smentisce ogni giorno. Ma vi è un’arma ancora più sottile per affossare la verità: quella di presentare i fatti in modo generico, accompagnandoli con un paio di autorevoli commenti, in assoluto contrasto tra loro e sempre superficiali. In tal modo il fruitore subisce la notizia e, privato degli elementi per formulare una propria opinione, è indotto a ritenere che l’argomento sia per addetti ai lavori, oltretutto in disaccordo tra loro.

L’aria un bene prezioso
L’effetto dell’inquinamento atmosferico sulle piante rappresenta appunto uno dei tipici casi in cui se ne sono sentite di cotte e di crude. È bene allora ribadire alcuni concetti basilari.
L’uomo con la sua attività induce mutamenti nell’ecosistema di tipo sia fisico che chimico. Il rilascio nell’atmosfera di sostanze chimiche sotto forma di gas, di particolato solido, o di aerosol, ha indubbie influenze sulle condizioni dell’aria. …
È dunque cambiata la composizione della nostra atmosfera?
No, i suoi componenti sono sempre gli stessi, ma sono cambiate le loro percentuali, in particolare quelle di alcuni composti secondari, quanto basta per avere effetti rilevanti.
Così, ad esempio, minime quantità di anidride solforosa e di ossidi di azoto – prodotti dalla combustione dei derivati petroliferi – possono reagire con l’ossigeno e, una volta assorbiti dall’acqua, generare il fenomeno delle “piogge acide”. Ancora: i clorofluorocarburi (CFC) aggrediscono e decompongono l’Ozono stratosferico riducendo l’azione schermante contro i raggi ultravioletti. Gli effetti sono vari, ma tra questi ve n’è uno emblematico, concernente un gas di vitale importanza, per il metabolismo di piante e animali: l’anidride carbonica (CO2).
La CO2 cioè la vita
L’anidride carbonica è il composto principe utilizzato dalle piante, con l’aiuto dell’energia solare, per sintetizzare amidi e cellulosa (fotosintesi clorofilliana), ossia i materiali costituenti della pianta e delle sue sostanze nutrienti. La quantità di CO2 è rigorosamente controllata da un semplice equilibrio dinamico: i vegetali usano la CO2 come materia prima ed espellono ossigeno, gli animali inspirano ossigeno ed espellono CO2 come rifiuto metabolico.
Da quando l’uomo ha cominciato a produrre notevoli quantità di CO2 – tramite processi industriali, combustione di carbone e di derivati del petrolio – e a deforestare ampie aree del pianeta, il tasso di questo gas nell’atmosfera è in costante e lenta ascesa, passando – secondo alcune stime anche troppo benevole – dallo 0,029% all’attuale 0,036%, un aumento di circa il 25%.
per dare un’idea: 1 kg di carbone, o poco meno di benzina, produce mediamente 3,3 kg di CO2 .
Apocalisse termica
L’importanza della CO2 non è legata solo al metabolismo del regno vegetale, ma ha dirette implicazioni con i meccanismi regolatori della temperatura terrestre.
La quantità di calore presente sul nostro pianeta dipende infatti dall’equilibrio tra energia radiante, proveniente dal Sole, e energia termica dissipata dalla Terra verso lo spazio sotto forma di radiazione infrarossa. Finché questo equilibrio è rispettato la temperatura media planetaria resta costante. Una delle funzioni della CO2 è proprio la limitazione della dispersione termica verso lo spazio. Essendo opaca riduce il passaggio di questa radiazione creando il noto “effetto serra”.
È quindi intuibile il nesso tra l’aumento di questo gas e l’aumento della temperatura del pianeta.
Arrhenius, per primo, nel 1896 quantificò questo aumento stimando che al raddoppio della quantità di CO2 nell’aria corrispondesse un riscaldamento di circa 6°. Stime più recenti e accurate prevedono un incremento dai 2° ai 5° e prevedono che il periodo in cui si raggiungerà il raddoppio della CO2 nell’atmosfera sarà tra il 2040 e la fine del secolo.
La diversità dei dati dipende dalla complessità del problema e dalla molteplicità delle variabili coinvolte, come la valutazione della quantità di CO2 che le acque oceaniche possono assorbire, il contributo all’ “effetto serra” di altri gas come il Metano, gli ossidi di Azoto e i clorofluorocarburi, l’incidenza della maggiore evaporazione dei mari a seguito dell’aumento di temperatura, e via dicendo, in un continuo feedback di fenomeni concatenati.
Comunque sia, accertato l’aumento della CO2 nell’atmosfera, le conseguenze scientificamente ipotizzabili sono:
a) l’aumento delle precipitazioni nel nord del pianeta
b) lo scioglimento dei ghiacciai e delle calotte polari
c) l’innalzamento del livello degli oceani
d) l’intensificazione della desertificazione
e) lo spostamento verso i poli delle zone coltivabili e boschive
f) l’aumento della violenza delle tempeste
g) la scomparsa di molte specie animali e vegetali per la difficoltà di adattamento alle nuove condizioni climatiche.
Senza evocare scenari apocalittici, le prime avvisaglie di questi effetti si stanno già evidenziando. Infatti negli ultimi 100 anni la temperatura media del pianeta è aumentata di mezzo grado, il livello dei mari di 15 cm e il processo di desertificazione in alcune zone della Terra ha assunto connotati biblici.      (…)
Piante come bioindicatori
Il regno vegetale, usando la CO2 per i suoi processi vitali, ha sviluppato un’ampia superficie di contatto con l’aria (massa fogliare) che tramite minuscole aperture (stomi) permette lo svolgersi dei processi di respirazione e traspirazione.
Studi condotti su alberi e arbusti nel loro habitat naturale hanno dimostrato che variazioni nella composizione dell’aria influiscono notevolmente sul metabolismo vegetale, fatto che ha portato a ipotizzare l’uso di alcune piante quali indicatori biologici della qualità dell’aria.
Fenomeni di caduta precoce di foglie, di accartocciamento delle foglie, di ingiallimento della chioma, di variazione della ramificazione, sono stati descritti in molte specie vegetali contemporaneamente a manifestazioni del tutto opposte come fioriture straordinariamente abbondanti e precoci. superfioritura ok
Come spiegare fatti così contrastanti?
La causa in entrambi i casi è sempre la stessa: l’inquinamento.
Da un lato, l’aumento di inquinanti di natura acida nell’atmosfera (come anidride solforosa e ossidi di azoto) contribuisce alla formazione di piogge e nebbie acide che intaccano gli strati protettivi delle foglie rendendole vulnerabili a veleni e microorganismi patogeni e innescando un processo di dilavamento del terreno che asporta preziosi elementi nutritivi (soprattutto sali minerali) minando la crescita della pianta e causandone il deperimento.
D’altro canto, l’aumento della CO2 e della temperatura giova alla fioritura e all’accrescimento della pianta. È nota, infatti, la maggiore produttività delle piante sovralimentate con CO2 in special modo nelle colture in serra, dove tuttavia porta indesiderati effetti collaterali come lo sviluppo di un apparato radicale abnorme e intensificazione degli attacchi parassitari.
All’aumento della CO2 va imputato anche un altro fenomeno sconcertante: la diminuzione della densità stomatica. La pianta, trovandosi a contatto con dosi eccessive di gas da metabolizzare, chiude le sue “bocche” (stoma in greco significa bocca). A riprova, una pianta posta in ambiente a basso livello di CO2 aumenta la sua quantità di stomi.
studi comparativi tra foglie di faggio conservate in erbari universitari del 1715 e del 1850, e campioni prelevati nel 1990 hanno evidenziato in questi ultimi meno della metà degli stomi presenti nelle foglie del 1715 e il 30% in meno di quelli delle foglie del 1850.
Altro aspetto preoccupante: gli stomi di duecento anni fa non mostrano nessuna delle aberrazioni riscontrabili invece nelle foglie più recenti.
Cambiare per sopravvivere
I segnali provenienti dal mondo vegetale, pur nella loro complessità e difficoltà interpretativa, vanno dunque in un’unica direzione. Le piante ci confermano lo stress ambientale a cui è sottoposto oggi il pianeta. Stress alle cui deleterie conseguenze ogni organismo reagisce difendendo la propria sopravvivenza e quella della specie con prodigiosi sforzi di adattamento al fine di trovare un nuovo equilibrio. In tal senso vanno lette le fioriture abnormi, l’aumento delle masse radicali, la riduzione degli stomi, le eccessive ramificazioni, ecc.
Sono tentativi convulsi e disperati, grida di aiuto che si manifestano con mutazioni che assomigliano sempre più a una neoplasia incontrollata che cresce nel ventre verde della Terra.
Secondo la Società Botanica Italiana, solo nel nostro Paese rischiano l’estinzione oltre 450 specie vegetali. Le risposte a queste “silenti urla verdi” non sono più derogabili: l’umanità, o almeno la parte più tecnicamente progredita di essa, deve ridimensionare le soglie dei propri consumi, limitando le emissioni di CO2, e allo stesso tempo farsi carico seriamente del compito di tutelare e arricchire il patrimonio floristico e faunistico. È una sfida all’intelligenza umana una volta tanto non indirizzata alla ricerca di un effimero arricchimento individuale o collettivo, ma rivolta a quel giusto e consapevole rapporto con la Vita che costituisce il tessuto di cui è fatta la nostra stessa sopravvivenza futura.

Fonti:
Enzo Tiezzi: “Effetto Serra”, Arancia Blu n. 45 1991
Gianni Silvestrini (a cura di): “Effetto Serra”, supplemento a “La nuova ecologia” n. 80, 1990
Romano Gellini: “Modificazioni indotte nelle piante da possibili variazioni climatiche”, Informatore Botanico Italiano vol. 22, 1990
Romano Gellini, P. Grossoni, F. Bussotti: “Criteri di valutazione dei danni di nuovo tipo nei boschi della Toscana”, Informatore Botanico Italiano vol. 21, 1989

Tratto da “AAM Terranuova” n. 78, aprile 1994 (sì, avete letto bene: 1994!)