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CIBO E PERCEZIONE BIOFISICA SOTTILE

di Pier Prospero –

Il CIBO E LA PERCEZIONE BIOFISICA SOTTILE

Sono sempre rimasto colpito dalla differenza di “resa” nei differenti momenti della giornata in cui mi sottoponevo alle prove di percezione.
Nel periodo della mia formazione come Geobiologo ho frequentato parecchi seminari e corsi, in Italia e in Germania. Di solito in queste situazioni si rendeva sempre evidente una variabilità nella mia percezione tra la mattina e il pomeriggio, e tra il primo e il secondo giorno.
Sapendo che il peggioramento della percezione sottile in generale poteva avere molte cause, non solo la stanchezza progressiva, mi chiedevo sempre quali potevano essere queste cause per me.

Percezione biofisica delle zone di disturbo geobiologiche

Giulia con pendolo copia 2
Nella percezione biofisica delle zone di disturbo geobiologiche vi sono molte fonti di disturbo e di confondimento che interferiscono.
Alcune di queste sono esterne, “ambientali”, come i campi elettromagnetici artificiali dovuti alla corrente elettrica industriale o alle teletrasmissioni e i campi naturali emessi da particolari situazioni geologiche.
Altre fonti di disturbo sono invece “interne” al rilevatore stesso, e si può facilmente capirne la portata pensando agli strumenti tecnici di misura: perché una misura sia ritenuta valida gli strumenti tecnici devono essere stati tarati, infatti shock dovuti ai trasporti, agli accidentali contatti con forti campi magnetici e ad altri fattori, possono alterare la precisione dello strumento.
Noi siamo molto più delicati della strumentazione tecnica, anche se abbiamo degli ottimi sistemi di “reset” automatico che gli strumenti non possiedono. Il nostro “reset” richiede il suo tempo e occorre che in questo delicato periodo non si subiscano altri shock.
Un disturbo interno al rilevatore può provenire dalla sua intossicazione da “informazioni”: dalla pubblicità ai programmi TV trash, passando per i cibi cotti a microonde. Argomento troppo ampio, sebbene molto interessante.
Un altro disturbo interno può essere dato da una sua intossicazione da onde elettromagnetiche, per cui diventa dipendente dal disturbo al cervello provocato da un certo grado di radiazioni che può essere anche molto elevato, e nel lungo periodo diventa molto pericoloso, come avviene per i telefoni cellulari.

Infine un disturbo interno al rilevatore può provenire da una sua intossicazione da allergene alimentare, e si sa che l’alimentazione, essendo legata all’imprinting dato dalla madre, alla soddisfazione del piacere orale e al bisogno di riceverlo dal cibo, costituisce una specie di tabù.
Pensavo alla scoperta del fatto che la maggior parte delle persone affette da eccesso di colesterolo “cattivo”, pur di non sottoporsi ad una semplice dieta, preferiscono assumere per tutta la vita farmaci pericolosissimi.
I cibi industriali provenienti dall’agricoltura chimica sono pieni di elementi tossici, ma in dosi non così elevate da portare problemi appena ingeriti: solo con il loro accumulo per il perdurare della loro assunzione nel tempo ci sono degli effetti dannosi.
È un problema di dose: quantità maggiori di chimica porterebbero direttamente in ospedale e poi nessuno comprerebbe più quel prodotto, piccole quantità invece mantengono una tossiemia cronica che produce sintomi solo nel lungo tempo e questi sintomi alla fine non sembrano più collegabili alle sostanze chimiche ingerite con gli alimenti.
Le differenze nella mia capacità percettiva sottile avrebbero potuto quindi essere causate da qualcuno di questi fattori esterni dovuti agli ambienti, o da fattori interni a me stesso, quindi li avevo vagliati uno per uno.
Avevo scartato i campi elettromagnetici artificiali poiché, essendo dotato della strumentazione tecnica, avevo sempre fatto le misurazioni nelle sedi dei corsi senza trovare situazioni allarmanti.
Avevo tenuto presente invece la particolare geologia di alcune sedi, ma la differenza di riuscita nelle prove di percezione tra mattina e pomeriggio e tra primo e secondo giorno era evidente anche in altre sedi che non presentavano problemi geologici.
Dovevo propendere quindi per un disturbo interno a me stesso come rilevatore.
Un po’ di intossicazione da informazioni nocive la abbiamo tutti. Ma non mi sembrava di esserne affetto in modo particolare: in qualche modo mi difendevo coltivando altri interessi.
L’intossicazione da onde elettromagnetiche invece è più selettiva: si vedeva che qualcuno era molto più agganciato al cellulare di altri, però io ne facevo un uso molto raro e non lo portavo mai all’orecchio.
Restava l’alimentazione. In genere ai seminari e ai corsi che frequentavo usufruivo di un trattamento di pensione completa a costo modico, che spesso corrispondeva alla proposta di grandi quantità di cibo di qualità mediocre. Oppure ricorrevo ai ristoranti, non sempre economici. Non c’era niente di biologico e facevo sempre fatica a trovare qualcosa che mi potesse andar bene, cioè non contenesse latte o suoi derivati.
I corsi iniziavano il sabato mattina e in genere fino a ora di pranzo avevo i risultati migliori. Poi c’era una pausa pranzo di solito di un paio d’ore in cui o si mangiava tutti assieme o andavo al ristorante.
In genere il dopopranzo si ricominciava con una lezione teorica e si vedevano regolarmente le teste cadere, anche io faticavo a tenere su la mia.
Poi veniva qualche prova pratica di percezione di zone di disturbo telluriche, simile a quelle svolte alla mattina, o a volte esattamente uguali, e qui non ne prendevo una giusta; alla mattina mi ero stupito della mia precisione e al pomeriggio non riuscivo a percepire quasi niente esattamente.
Prima di tutto avevo pensato di verificare se l’andamento era lo stesso anche la domenica. In realtà anche quando la seconda prova di percezione era alla domenica mattina avevo un peggioramento della resa nelle prove di percezione sottile rispetto a quella del sabato mattina, mentre tra la domenica mattina e la domenica pomeriggio cambiava poco.
Avevo pensato allora a quali fossero gli alimenti di cui si componevano i piatti che offrivano i posti dove mangiavo, ed eccoli lì, in bella mostra, i principali allergeni alimentari: frumento (panini, pizze, pasta, pane); latte (formaggi, burro e latte aggiunti nella preparazione del cibo); solanacee (patate come contorno, fecola di patata aggiunta come addensante); polifosfati (conservanti in pizze e panini, nel pesce, nel caffè e in altri cibi); carne rossa (bistecche di manzo o carne di maiale).
I pasti contenevano tutti questi allergeni assieme, quindi anche il mio era presente in dosi massicce.
Io sapevo di essere allergico al latte e cercavo di mangiare dei cibi che non ne contenessero, ma non tenevo conto della grande contaminazione che poteva avvenire nelle cucine.
Allora è questa la causa!” avevo pensato folgorato dall’intuizione.
Il pranzo del sabato in questo modo mi dava un carico di allergene per me inusuale, sebbene mangiassi cibi che apparentemente non avrebbero dovuto contenere latte o suoi derivati. Quel che c’era per via delle contaminazioni era sufficiente a provocare la caduta della mia resa nel dopopranzo.
La cena del sabato sera mi dava nello stesso modo un ulteriore carico di allergene e il suo accumulo mi comprometteva la resa dell’intera domenica.
Mi ero accorto che nei due giorni mi calava progressivamente anche l’attenzione alle comunicazioni teoriche e che ripensando agli argomenti trattati dai docenti la domenica mi emergeva una incredibile confusione e perfino delle amnesie totali, sebbene fossi sicuro che gli argomenti mi erano interessati.
Come me, ognuno di noi presenta un’allergia alimentare di diversa gravità, ma pochissime persone ne sono a conoscenza e anche tra queste poche sanno in che alimenti è presente la sostanza cui sono allergici poiché con la attuale manipolazione dei cibi tutto può essere introdotto in tutto, comprese le confezioni biologiche, un esempio ne è il lattosio nel vino bianco, usato come schiarente.
La tossiemia dovuta all’ingestione di questi allergeni fin dalla nascita (se ne ciba la madre e li trasmette con il suo latte) diventa cronica, causa una vera e propria “dipendenza” e a un certo punto manifesta i suoi danni producendo problemi in periferia dove è più difficile per la medicina convenzionale fare collegamenti con l’apparato digerente.
Ricerche non ufficiali sulle allergie alimentari, fatte su migliaia di persone, stabiliscono percentuali impressionanti: il 40% circa della popolazione sarebbe affetta da allergia alla caseina e al lattosio (proteina e zucchero del latte); un altro 40% circa sarebbe intollerante alla proteina del frumento; il restante 20% si dividerebbe tra gli altri allergeni, con una preponderanza per le solanacee, la carne bovina e suina, i polifosfati e il glutine.
A differenza delle intolleranze che nella vita subentrano e sono risolvibili, le allergie sono di origine genetica e quindi non sono “guaribili” si può solo praticare l’astensione dall’allergene, come per la Celiachia.
Nelle allergie alimentari la manifestazione dei sintomi sul piano somatico è preceduta da una sintomatologia mentale con dei cambiamenti anche significativi, tra i quali sono da porre all’attenzione le variazioni della capacità di distinguere ciò che il corpo percepisce.
Quando lo stato di intossicazione diventa cronico produce un intorpidimento della mente e un abbassamento della percezione che, malauguratamente, in certi casi è scambiato per “benessere” poiché allontana dalla realtà, non facendola percepire lucidamente. La realtà spesso è dura o diversa dalle aspettative e l’intossicazione da cibo (non diversamente dall’uso di alcol o droghe) aiuta a affievolire e annebbiare la percezione della realtà che appare in questo modo meno difficile da affrontare.
Per una parte della mia vita è stato così anche per me.
Il digiuno non a caso è sempre stato considerato da tutte le culture tradizionali come cura del corpo e soprattutto dello spirito, e proposto come la necessaria preparazione agli eventi rituali, poiché eliminava (anche se temporaneamente) l’intossicazione facendo schiarire il pensiero e aumentare le percezioni.
Con l’apporto di allergene che ogni pasto mi procurava, nonostante la mia presunta attenzione, mi trovavo alla fine con una sintomatologia legata a problemi intestinali, a un generale raffreddamento delle zone periferiche del corpo congiunto a una caduta del tono e della pressione sanguigna (l’istamina è un potente vasodilatatore), un senso di acidità fisica e mentale e un leggero intorpidimento. Con questi sintomi non stavo male abbastanza da non poter eseguire i compiti che mi aspettano nella giornata. La mia percezione degli stimoli esterni risultava però decisamente ridotta e alterata.
Perciò in queste condizioni non ero più in grado di percepire chiaramente le informazioni “sottili” che inviano il terreno e le strutture geologiche. Avevo della “nebbia” che mi creava incertezza e confusione.
Il sistema che mi permette la percezione non era fuori uso, ma era starato, come lo strumento tecnico: dava una misura non attendibile, a volte lontana da quella reale.
Presa consapevolezza di quello che mi succedeva e della causa della variazione della mia resa nella percezione delle zone di disturbo, avevo risolto il problema portandomi dietro del cibo pronto da casa, anche se era un po’ scomodo, e non consumando più i pasti forniti dai ristoranti.
Di fatto in questo modo riuscivo a mantenere una resa costante nella percezione, nonostante la progressiva stanchezza, e mi ricordavo anche le lezioni teoriche a cui avevo assistito.
Da queste esperienze a quei tempi ho capito che se volevo utilizzare la percezione biofisica sottile dovevo tenere ben “tarato” il mio strumento che è il mio corpo-mente, uno strumento meravigliosamente complesso e molto delicato che funziona principalmente per trasmissioni di energia e di informazioni, uno strumento che non ha prezzo e quindi andava trattato al meglio.