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NUVOLE DI PRIMAVERA – racconto breve e inedito

NUVOLE DI PRIMAVERA – racconto breve e inedito

Erica aveva gli occhi dell’amore, verdi, come l’acqua della laguna e troppo vispi per una sua coetanea. Quando l’aveva vicina, Pietro percepiva l’energia dei suoi capelli rossi lunghi e mossi, pieni di sensualità.
La giornata era così bella che le nuvole nel cielo celeste sembravano il fumo della combustione del mare.
Nella forma che il caso e il vento danno alle nuvole, l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante, scrisse Italo Calvino.
Il Lido è un’isola e le nuvole passavano veloci. Bisognava coglierle al volo per scoprire la loro arte.
«Varda! Guarda che belle nuvole bianche! Quea me par un elefante… adesso è cambiata e a me sembra un can.»
«Sono cumuli… »
Pietro non vedeva né elefanti né cani, ma distingueva i cumuli dai cirri. Suo padre lavorava in aeroporto alle previsioni del tempo e gli aveva insegnato tutto sul ciclo dell’acqua e sulle nuvole, ma non che si potevano vedere delle figure strane guardandole sdraiati sull’erba a fianco di una ragazzina intraprendente.
Lei gli aveva preso la mano e, tenendola stretta, continuava a dire di animali e facce buffe che vedeva in cielo, fra una risatina e l’altra, tintinnanti.
Lui sentiva un brivido dai piedi ai capelli e teneva gli occhi chiusi perché vedeva molto di più che tenendoli aperti. Le immagini passavano dalla mano di Erica a quella di Pietro e sullo schermo della mente gli appariva quello che vedeva lei.
Invece se apriva gli occhi osservava dei cumuli sospinti dai venti di quota.
A tredici anni era ancora troppo piccolo per riuscire ad andare oltre, i maschi si sa sono meno svegli, e lei si accontentava della mano, attendendo paziente un contatto di labbra solo sognato.
Dopo quel pomeriggio Pietro prese a esercitarsi a scoprire le figure nelle nuvole, si ricordava che alcuni anni prima, da bambino, lo faceva, ma da un po’ non era più un bambino e doveva dare del tempo all’immaginazione per risvegliarsi.
Quando c’era riuscito di nuovo, quasi tutte le nuvole gli sembravano il viso di lei. Era cotto.
Erica venne a casa sua un altro pomeriggio e si ritrovarono di nuovo distesi sull’erba del giardino a guardare le nuvole.
Lei al solito tirava su la gonna fino alle mutandine a mostrare tutte le gambe come se dovesse far loro prendere il sole. Le ragazzine in quegli anni non potevano ancora mettersi i pantaloncini corti come i maschi e ne approfittavano. Osservandola Pietro pensava “Se sei un sogno, non svegliarmi”.
«Guarda! Quella sembra un viso, il tuo viso… oh, adesso è cambiata… sembra una farfalla»
le disse, emozionato, facendo appello a tutto il sostegno che gli arrivava dalla terra.
Lei lo intese per un complimento e rispose
«Grazie, che bea vision, come ti ze gentile».
Poi gli prese la mano e, dopo un attimo di incertezza, se la portò sulla coscia, in alto in alto, all’interno.
Pietro sentì le guance avvampare e il corpo irrigidirsi di terrore. La pelle di lei scottava sotto il palmo e la mano si gelava. Era troppo bello, sì, davvero troppo per un ragazzino per quanto precoce, ma comunque pieno di problemi con le relazioni.
Dannata stagione dei cumuli, metteva qualcosa nel sangue, una brezza, un frizzante che si sentiva nell’aria assieme al salmastro del mare, e lei quel giorno aveva respirato a pieni polmoni.
Bianco più delle nuvole, congelato e rigido come lo stecco di un ghiacciolo, tenendo gli occhi chiusi Pietro non si muoveva né fiatava mentre lei era piena di aspettative, sebbene non sapesse ancora bene cosa aspettarsi.
«Te piase?»
«Sì, è un cielo di cumuli meravigliosi… e non pioverà».
Per Pietro la Via delle nuvole bianche sul Lido a primavera era una via senza via.