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COME SONO VISTI GLI IPERSENSIBILI: IL COMICO JOF NEL FILM “IL SETTIMO SIGILLO”

di Pier Prospero, rilettura del film di Bergman visto da un ipersensibile

Nel film del 1957 “il settimo sigillo” di Ingmar Bergman, ambientato durante una pestilenza nel trecento, i tre personaggi chiave, Cavaliere, Scudiero e Comico, sono i tre aspetti fondamentali dell’uomo moderno.
Ci appartengono e ci condizionano.

Il gelido e mentale Cavaliere sconfitto dalla delusione per aver avuto troppe illusioni, che vuole disperatamente capire il senso assoluto dell’essere pur sapendo che non ci riuscirà mai e alla fine cerca un minimo di riscatto nel compiere alcune azioni di cuore che però non lo coinvolgono al punto da farlo uscire dalla sua freddezza.
Il concreto e istintivo Scudiero che sa e conosce come stanno le cose ma proprio per questo è diventato cinico e privo di spinta vitale, sebbene possa provare ancora compassione e sappia esporsi a forti rischi per fare qualcosa di buono, non ha in sé l’amore per la vita ma la ricerca della sopravvivenza, così come la povera ragazza con lo sguardo smarrito che “assume” come cuoca.
Il Comico, sensitivo e di cuore che per contrasto appare quasi come un “freak”, un fenomeno, un diverso, vive intensamente il momento ma è proteso alla continuazione della vita in tutti i sensi, vive nella natura e coglie “memorie” e ha “visioni” e rischia davvero molto per questo ma non rinuncia alla sua vitalità interiore per la comodità e la sicurezza, pur cercando comunque di vivere dignitosamente.
Ciascuno di noi ha in sé questi tre aspetti, ma per ciascuno di noi uno di essi prevale.
Il regista ci fa vedere come questi aspetti si esprimono in lui per dirci di guardare ai nostri, e indica alla fine quale vorrebbe che prevalesse, cioè quello del cuore, sebbene per lui non sia stato così.
Il personaggio del Comico Jof rappresenta anche il “visionario”, quello che vede ciò che gli altri non vedono e crede alla sua visione.
Jof ha un animo buono, semplice e puro, crede reale quello che vede e lo racconta agli altri, e prima di tutto alla moglie Mia, una giovane donna incantevole e dolce che accudisce in modo positivo e naturale al figlioletto Micael di un anno.
I dialoghi tra lui e la moglie esplicitano bene cosa succede in questi casi, quindi sono molto significativi per tutti coloro che si trovano nella scomoda situazione di “ipersensibili” non molto consapevoli di esserlo.
Jof appena sveglio guardando il paesaggio che ha davanti “coglie” l’immagine di un rito ripetuto mille volte: una antica giovane donna sacra che cammina scalza sul prato cercando di insegnare a camminare ad un bambino nudo. Immagine di sacerdotessa che impersona la Dea come Madre. Antidoto vitale alla morte, è un’immagine simbolica molto forte del femminile materno che dopo averci generato ci accompagna, protegge e insegna a muoverci nella vita.
Per la sua cultura di uomo del trecento, quell’immagine richiama a Jof l’icona della Vergine Maria col Bambino e ne è estasiato.
Lo racconta pieno di pathos alla moglie e lei gli risponde seccamente: -“sempre con queste visioni!…
Paradossalmente, quando Jof alla locanda viene aggredito da un fanatico religioso che ruba i gioielli dai cadaveri degli appestati, è salvato proprio dallo Scudiero che apparentemente è il personaggio più razionale e materialista, quello che non crede a niente di tutto quel che riguarda la religione e dice di sé “sono un uomo colto, per questo non credo… so moltissime cose…” a dimostrazione che la mancanza di fede e di “credenze” che deriva dalla cultura in lui convive benissimo con una grande umanità che però non è ancora sufficiente per farlo uscire dal suo vivere in modo istintivo, disincantato, per la sopravvivenza qui ed ora.
Jof non è creduto dalla moglie che lo tratta un po’ come un bambino e gli continua a dire di non raccontare in giro le sue visioni per non esporsi alla reazione della gente.
Ma è lui che con un sua chiara visione salva la sua famiglia dalla “morte”.
Nel film la Morte è impersonata al maschile ma non è armata come Tanatos, è rappresentata velata ma non è femminile come Atropo, perché non rappresenta la morte fisiologica del corpo ma quella della vitalità dell’animo, potremmo dire con un’espressione bioenergetica: la fine del libero fluire dell’energia vitale, che porta alla sopravvivenza con
l’adattamento, costringendoci in una forma di nevrosi caratteriale.
Jof “vedendo” che il Cavaliere non sta giocando la sua partita a scacchi da solo come vuol far credere, ma che la sta giocando con la Morte, intuisce che per salvarsi deve fuggire con moglie e figlio lasciando il Cavaliere e quel che il Cavaliere rappresenta con la sua ricerca del senso della vita attraverso la speculazione astratta a livello puramente mentale, e da quel che rappresentano anche gli altri compagni di viaggio che, oltre allo Scudiero, sono la povera ragazza da lui salvata, il capocomico narcisista che sa di essere vuoto e falso, il fabbro e la moglie che rappresentano gli stereotipi dei rapporti dipendenti e inconsapevoli.
Mentre la moglie ancora non gli crede, Jof è davvero convinto di aver “visto” la realtà, quindi agisce di conseguenza per salvare la sua famiglia dalla Morte che prenderà il Cavaliere e tutti quelli che lo seguono.
E ci riesce pur dovendo simbolicamente passare la notte attraversando il buio della foresta sotto la tempesta, fino alla nuova alba.
Il Cavaliere, accortosi che i comici stavano cercando di scappare col loro carro, distrae la Morte Interiore facendo cadere alcune pedine dalla scacchiera fingendo un movimento maldestro del braccio.
La Morte Interiore ne approfitta per raccogliere le pedine e risistemarle in un’altra posizione a suo favore e quindi vincere la partita col Cavaliere, dimostrandosi “cinica e bara”, ma così facendo non ha potuto opporsi alla fuga della famiglia del Comico.
Il Cavaliere, con il secondo gesto di cuore che riesce a fare prima che la sua vitalità si spenga, vinta dall’oppressione dei dubbi e della delusione, si è consegnato alla Morte, pur di salvare la famiglia dei comici, perché ha capito che sono gli unici ad avere ancora la vitalità, a onorare la vita, a investire nella vita del figlioletto, ad avere progetti e ad assaporare l’energia vitale momento per momento, pur in un contesto invece terribile di morte fisica (la peste) e spirituale (le azioni del clero e i discorsi della gente).
Il Cavaliere e tutti gli altri che lo seguono cadono così in dominio della Morte Interiore che li raggiungerà definitivamente quando ritorneranno alla loro vita “normale” e ai loro ruoli consueti nel castello del Cavaliere.
Solo chi è riuscito a vedere oltre le è sfuggito.